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domenica 22 aprile 2012

Introduzione a concetti generali sopra le Enneadi di Plotino.

Pubblico qui alcuni passaggi, secondo me fondamentali, dalla prima enneade di Plotino. Egli è stato il padre del neoplatonismo e la sua opera è stata il fondamento per tutta l'arte del Rinascimento, grazie all'instancabile opera dell'epigono Marsilio Ficino, operante a Firenze.
Anche se alcuni di questi pensieri sono più aderenti all'arte di Michelangelo, mi pare di vedere comunque cenni riferibili a Raffaello Sanzio, soprattutto per quanto riguarda l'armonia.
In questo caso sarebbe interessante quanto da me postato al fine di poter confrontare il diverso concetto di armonia fra il Maestro e la Sua scuola.

2.
Se è così, l'anima è un composto e non è assurdo che essa riceva in sé e provi, col permesso della ragione, quelle tali passioni e accolga generalmente abitudini e disposizioni buone o cattive. Ma se l'anima e l'essere dell'anima sono la stessa cosa, essa è una forma e non ammette in sé nessun anno che essa produce in un altro soggetto; possiede un atto interiore e immanente in se stessa, che la ragione ci scoprirà, qualunque esso sia. E così, è vero dire anche che essa è immortale, poiché ciò che è immortale e incorruttibile è necessariamente impassibile; fa parte di sé agli altri esseri e non riceve nulla da essi, se non da quelli che gli sono anteriori, dai quali non è per nulla tagliato fuori, e che sono superiori.
(...)Perché dovrebbe mescolarsi ad altro?(...) Anche la sofferenza le è lontana. Come e di che si addolorerebbe? (...) Neppure godrà di cosa che le si aggiunga, poiché nessun bene sopraggiunge in lei dall'esterno: essa è sempre ciò che è.
In lei non ci sono sensazioni, né riflessioni, né opinioni; difatti la sensazione è la recezione della forma e della affezione del corpo.

3.
Ove l'anima adoperi il corpo come uno strumento, essa non è costretta ad accogliere in sé le affezioni del corpo; ma forse è necessario che essa ne abbia la sensazione, poiché è necessario che essa si serva di quello strumento per conoscere, mediante la sensazione, le affezioni esteriori: così servirsi degli occhi è vedere.
L'anima non soffrirà le passioni del corpo, per il fatto d'esservi intrecciata, ma sarà nel corpo, come la forma è nella materia.

5.
Allora le passioni non sono più comuni, ma dell'anima sola. D'altronde, la tendenza al bene non è un'affezione comune, ma dell'anima sola, come molte altre: e vi sono ragioni che impediscono di riferirle tutte al composto. Quando un uomo prova il desiderio d'amore, è quest'uomo che desidera, ma in altro senso è la sua facoltà di desiderare.

SULLE VIRTU'

1.
Poiché "necessariamente i mali esistono quaggiù e s'aggirano intorno a questi luoghi terreni", e poiché l'anima vuol fuggire i mali, "bisogna fuggire di qui". Che cos'è questa fuga? "Diventare simili a Dio" dice Platone. E noi otterremo questo, se, mediante la prudenza e in generale con la virtù, diventeremo giusti e pii.
Ma in qualsiasi caso, è chiaro che Dio possiede delle virtù, anche se non le stesse che abbiamo noi.
(...)nulla impedisce che noi diventiamo eguali a Lui con le nostre virtù proprie, anche se Egli non ne possiede. In che modo?
Così: se qualche cosa è riscaldata dalla presenza del calore, è necessario che anche ciò da cui viene il calore sia riscaldato? e se qualche cosa è riscaldata dalla presenza del fuoco, è necessario che il fuoco sia, anche esso, riscaldato dalla presenza del fuoco? Si potrà rispondere che anche nel fuoco c'è un calore, ma un calore inerente: così possiamo dire, per analogia, che la virtù nell'anima è qualche cosa di acquisito, mentre è inerente invece all'essere dal quale l'anima, imitandolo, la trae in suo possesso. Ma come nell'argomento del fuoco, si dirà che quest'essere è la virtù stessa; lo giudichiamo infatti superiore alla virtù.
(...) La virtù è una cosa e quel principio è un'altra. La casa sensibile partecipa di ordine e di proporzione, mentre nel pensiero non c'è né proporzione né simmetria. E così noi partecipiamo dell'ordine, della proporzione e dell'accordo del mondo intelligibile, da cui pur deriva la virtù di quaggiù; ma gli esseri intelligibili non hanno bisogno di accordo, di ordine, di proporzione, né la virtù ha per loro alcuna utilità; nondimeno noi rassomigliamo a essi per la presenza della virtù. Se noi dunque ci rendiamo simili a essi, non è necessario che la virtù risieda in questi.

2.
Le virtù civili instaurano veramente un ordine in noi e ci fanno migliori, poiché impongono limite e misura ai nostri desideri e a tutte le passioni e ci liberano dagli errori: un essere infatti diventa migliore perché, sottomesso alla misura, esce dal dominio dell'indefinito e dell'illimitato. Le virtù, in quanto sono misure per l'anima considerata come materia, si conformano alla misura ideale che è in loro e posseggono la traccia della perfezione superiore.
Difatti ciò che è del tutto privo di misura è la materia che in nessun modo diventa simile a Dio; ma più un essere partecipa della forma, più assomiglia all'essere divino che è senza forma. Gli esseri vicini a Dio partecipano di più; l'anima, più a lui vicina che il corpo, e ogni altro essere dello stesso genere che essa, vi partecipano più del corpo e così essa inganna apparendo simile a un dio e immaginando di possedere la totalità dell'essere divino. In questo modo gli uomini che hanno le virtù civili diventano simili a Dio.

3.
Platone dice che la rassomiglianza con Dio consiste nella fuga da questo mondo. Perché l'anima è cattiva finché è mescolata al corpo, simpatizza con esso e giudica ogni cosa d'accordo con esso; mentre essa è buona e possiede la virtù, se non opina più in accordo con quello, ma agisce sola; e non teme più, dopo aver abbandonato il corpo - ed ecco il coraggio -; poiché la ragione e l'Intelligenza dominano incontrastate - ed ecco la giustizia. L'anima pensa così l'intelligibile ed è anche priva di passioni, quando si trova in questa disposizione che può esser detta, senza tema d'errare, la rassomiglianza con Dio: puro è infatti l'essere divino e così pure il suo atto; conseguentemente, l'essere che lo imita possiede la saggezza.
Il pensiero di Dio e quello dell'anima hanno solo il nome in comune? No, certo: l'uno è primitivo, l'altro derivato e differente. Come il linguaggio parlato è un'immagine del linguaggio interiore dell'anima.

4.
Dovremo ricercare (...)se la virtù segua alla purificazione; se la virtù consista nell'atto della purificazione o nello stato di purezza conseguente.
La virtù che è nell'atto è meno perfetta di quella che è nello stato: questo infatti è come il compimento dell'atto [Pensate al contrasto fra i due registri della "Trasfigurazione" di Raffaello: ci farà capire il senso degli interventi di Giulio Romano e Giovan Francesco Penni]. Ma lo stato di purezza è la soppressione di ogni elemento estraneo, e il bene è qualcosa di diverso. Essa non è capace di rimanere attaccata al bene vero, poiché naturalmente inclinata verso il bene e il male. Il suo bene consiste nell'unione con ciò che le è affine, il male con ciò che è contrario. L'unione dunque richiede la purificazione: l'anima si unirà al bene volgendosi a lui.
E si converte dopo la purificazione? No, ma è già convertita.
La virtù consiste dunque in questa conversione? No, ma in ciò che risulta all'anima dalla conversione. Cos'è dunque? E' la contemplazione e l'impronta dell'oggetto intelligibile contemplato, posta in atto nell'anima, come la visione rispetto all'oggetto visibile.
Non possedeva forse quegli oggetti, ma senza ricordarsene? Sì, li possedeva, ma non in atto, bensì deposti in un'oscura regione.
Per rischiararli e conoscere di possederli in sé, è necessario che essa si rivolga verso una luce illuminante.

SULLA DIALETTICA.

1.
Il filosofo, il musico e l'amante devono elevarsi. Dovranno procedere tutti nello stesso modo o ciascuno in modo diverso? C'è una doppia via per coloro che salgono e si elevano: parte la prima dal basso, la seconda è di coloro che sono già arrivati nel mondo intelligibile e vi hanno già posto il piede e devono quindi procedere in modo da raggiungere il limite ultimo di quel mondo: il viaggio è finito quando essi arrivano al sommo dell'intelligibile.
[Parlando del musico]Dobbiamo affermare che egli è commosso e trasportato dal bello e che, incapace di commuoversi da sé, è aperto all'influenza delle prime impressioni e, come gli uomini timidi di fronte ai più piccoli rumori, è sensibile ai suoni e alla loro bellezza, evita sempre nei canti il disaccordo e la discordanza e nei ritmi si compiace della misura e dell'accordo.
Egli deve separare la materia in cui si attuano gli accordi e le proporzioni e intuire la bellezza degli accordi in se stessi e comprendere che le cose così incantavano sono intelligibili.

2.
Il filosofo per natura è portato a queste ascese, è, per così dire, alato e non ha bisogno, come i precedenti, di separarsi dal sensibile poiché egli si muove verso le altezze, ma, incerto nel procedere, ha bisogno soltanto di una guida. Bisogna perciò dargli la scienza matematica perché si abitui alla nozione e alla certezza degli esseri incorporei ed elevare le sue virtù, essendo egli virtuoso per natura, sino al loro compimento.

SUL BELLO.

1.
Il bello è soprattutto nella vista, è anche nell'udito, nella combinazione delle parole e nella musica in genere. Che cosa dunque ha fatto sì che i corpi appaiano belli alla vista? Perché tutto ciò che ha immediato rapporto con l'anima è bello? Forse tutte le cose belle sono belle di una sola e medesima bellezza, oppure altra è la bellezza del corpo, altra quella degli altri esseri?
Alcuni esseri, come i corpi, son belli non per la loro stessa sostenza, ma per partecipazione, altri sono belli in se stessi, come l'essenza della virtù. I corpi infatti appaiono ora belli ora brutti come se l'essere del corpo differisse dall'essere della bellezza. Che cos'è dunque questa bellezza presente nei corpi?
Tutti, per così dire, affermano che la bellezza visibile consiste in una simmetria delle parti, le une rispetto alle altre e all'insieme, cui si aggiungono delle belle tinte; e così negli esseri considerati come in tutti gli altri la bellezza consisterebbe nella loro simmetria e nella loro misura; per costoro, l'essere bello non sarà semplice, ma soltanto e necessariamente composto; il tutto poi sarà bello, ma le sue parti, singolarmente prese, non saranno belle, ma solo nella loro unione, perché questa sia bella. Una cosa bella difatti  non è composta di parti brutte, ma tutto ciò che vi è contenuto è bello. E poi, per costoro, i bei colori, come la luce del sole, sarebbero privi di bellezza, perché sono semplici e non traggono la loro bellezza dalla simmetria delle parti.
E quando lo stesso viso, rimanendo sempre identica la sua simmetria, ci appare ora brutto e ora bello, non si dovrà forse dire che la bellezza che è nelle proporzioni è diversa da queste che il viso ben proporzionato è bello per altra cosa?

2.
Riprendiamo il discorso e diciamo anzitutto che cosa sia la bellezza nei corpi. E' una qualità che diventa sensibile alla prima impressione; l'anima l'apprende e, riconosciutala, l'accoglie e in certo modo le si accorda. Ma, quando è impressionata da qualche cosa brutta, si agita, la rifugge e la respinge da sé come cosa discordante ed estranea.
Perciò affermiamo che l'anima, per la sua natura e per la sua vicinanza all'essenza reale che le è superiore, si compiace di contemplare ciò che è dello stesso genere suo o le tracce di questo, rimane stupita e riferisce a sé quello che contempla, e si ricorda di sé e di ciò che le appartiene.
Esse sono bellezze in quando partecipano di una forma o idea. Ogni cosa privata di forma e destinata a ricevere una forma e un'idea rimane brutta ed estranea alla ragione divina, finché non partecipa né di una ragione né di una forma: e questo è il brutto assoluto. E' brutto anche tutto ciò che non è dominato da una ragione o da una forma, poiché la materia non ha accolto affatto in sé l'informazione da parte dell'idea.
Dunque l'idea, accostandosi, ordina, combinando insieme, le parti diverse di un essere, le riduce a un tutto armonioso e forma l'unità mediante il loro accordo [e questo è il tema della prospettiva mista di Raffaello, e nella cappella Chigi e a Villa Farnesina], poiché essa è una e perché l'essere da lei informato dev'essere uno, come può esserlo un essere composto di parti. La bellezza dunque risiede in questo essere, una volta ricondotto all'unità, e si dà a tutte le sue parti e all'insieme.
Così il corpo diventa bello perché partecipa di un'idea venuta dagli dei. 

3.
La semplice bellezza di un colore è dovuta a una forma che domina l'oscurità della materia e alla presenza di una luce incorporea che è ragione e idea. Perciò fra tutti i corpi il fuoco è bello per se stesso e occupa tra gli altri elementi il posto dell'idea. Per primo ha in sé i colori, e le altre cose da lui ricevono la forma del colore. Esso risplende e brilla, simile a un'idea [Pensiamo all'ultimo Raffaello e al primo Giulio Romano].
Ciò che non ha eguale potenza sbiadisce alla luce e non è più bello, perché non partecipa dell'idea totale del colore.
Sono le armonie impercettibili al senso quelle che fanno le armonie sensibili e per opera di quelle l'anima può intuirne la bellezza, poiché esse le rivelano l'identico nel diverso.
Per conseguenza le armonie sensibili sono misurate da numeri non in un rapporto qualsiasi, ma in uno che è subordinato all'azione sovrana della forma.

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